3 Maggio 2024

di Roberto Minnocci  – 

“Claudio Scerrato si racconta, tra passato e presente, tra trofei e ricordi.”

Pic 250Gli immancabili occhiali da sole all’ultimo grido. Il passo sicuro di chi ha calpestato l’erba per una vita. Le ultime disposizioni ai ragazzi in campo, prima di dedicare “cinque minuti” all’intervista, che poi sono diventati mezz’ora. La grinta, l’orgoglio, le emozioni, che a volte rompevano il ritmo della voce ferma. Voce da Manager. Poi si avvicina un ragazzo, che aspetta in disparte il suo turno rivolgendogli una domanda con un filo di fiato. E allora capisci cos’è il carisma e il rispetto che emana quest’uomo, solo davanti al microfono, ma con lo sguardo rivolto sempre verso la collinetta al centro del diamante, e con un carico di storia e di sport da fare invidia. Claudio Scerrato uno dei miti legati al Baseball e al Nettuno.  

Una grande storia alle spalle, iniziata nel 1972, quasi tutta legata al Nettuno, e sempre sul monte di lancio. Ne hai fatta di strada?

“Io vengo da una famiglia di giocatori di baseball, i miei zii Alfredo ed Enzo Lauri fanno parte della storia del Nettuno, e sono cresciuto pensando sempre di arrivare a giocare in quella squadra. Ci sono riuscito molto presto, esordendo da lanciatore, a soli quindici anni, in prima squadra, e credo che questo sia un record. L’anno successivo abbiamo vinto lo scudetto, ed io sono stato premiato con la “Palla d’Argento” come miglior pitcher in assoluto del campionato, avevo sedici anni, e in quello stesso anno ho esordito anche nella Nazionale Italiana maggiore al Campionato Europeo, penso siano tutti risultati da record. L’anno successivo, ai Campionati Mondiali, ho lanciato contro la Repubblica Dominicana, vincendo la partita a soli diciassette anni. Poi un anno dopo l’altro, con tante soddisfazioni personali, credo di aver ottenuto anche il record delle vittorie stagionali, diciassette, ma non ricordo bene tutti i numeri, non guardo molto al passato. Nella mia storia più recente da Coach, ho vinto tanti trofei, tra cui tre Coppe dei Campioni. Ho fatto per diciassette anni il Pitching Coach della Nazionale Juniores, vincendo cinque Europei; ho partecipato a sette Mondiali; da sedici anni faccio lo Scout per le Major. Insomma, tante altre cose che non ricordo, ma di certo tante belle soddisfazioni.”

Qual è il tuo rammarico più grande e il ricordo più piacevole?

“Io a 24 anni avevo già lanciato più di mille inning, probabilmente un po’ troppi, e forse per questo ho avuto un infortunio al braccio che ha penalizzato pesantemente la mia carriera. Purtroppo in quell’epoca una borsite scapolo omerale era un ostacolo difficile da superare e ho dovuto abbandonare l’attività agonistica. È stato un evento drammatico, che ha condizionato la mia vita, e ancora oggi mi provoca emozioni e rimpianti, chiudere così giovane una carriera che immaginavo ancora lunga e ricca di soddisfazioni con la squadra della mia città, non son riuscito mai ad accettarlo. In seguito ho iniziato a studiare esercizi specifici per questi infortuni, preparando anche dei video che sono stati utilizzati per prevenire questi traumi, evitando ai giovani, a cui mi dedico da tanti anni, di incorrere in queste problematiche, perché la salute dei ragazzi è più importante del risultato di una partita. Venendo ai ricordi piacevoli, credo che lo scudetto del ’73 sia stato un risultato incredibile. Ricordo a Ronchi, quando sostituii mio zio Alfredo Lauri dopo un paio di inning, ero giovanissimo e faceva molto freddo, completai quella partita vincendola con punteggio stretto, e alla fine Giampiero Faraone e gli altri mi vennero tutti intorno, mi vengono le lacrime ancora adesso a raccontarlo. Poi la Coppa dei Campioni vinta 1-0 contro il Bologna nel 2009, vissuta da Pitching Coach, con un mio lanciatore sul monte (Jeff Farnsworth) che mi ha dato delle sensazioni fortissime, sembrava quasi che stessi lanciando io, una tensione enorme fino alla fine, uno dei momenti più belli della mia carriera.”

Dunque, a quindici anni già a grandi livelli, ma prima che cosa è successo?

“Prima è stato tutto molto veloce. Ho giocato sempre nelle categorie superiori della mia fascia di età, fino ad approdare prestissimo in serie A. Ricordo nel ’72 alle finali Juniores a Roma, giocai tre partite in tre giorni, lanciando, tra venerdì, sabato e domenica, trenta inning! È successo tutto molto in fretta, un concentrato breve ma intenso.”

Hai attraversato due secoli di baseball, cosa è cambiato nel frattempo?

“Io ho cominciato giocando con fior di campioni, Masci, Caiazzo, Faraone, Monaco, Mirra, Costantini, Laurenzi e tutti i più grandi, ed era un baseball di grande livello, che, però, è stato superato con il passare del tempo. Ci son stati grandi cambiamenti nella preparazione fisico-atletica, che hanno migliorato non poco le prestazioni; ricordo che io e Giorgio Costantini siamo stati un po’ precursori in questo senso, costruendoci dei pesi artigianali fatti con i barattoli, per aumentare le nostre capacità fisiche, oggi invece ci sono palestre e preparatori atletici che aiutano i ragazzi a crescere. Dal punto di vista tecnico, con l’avvento dei grandi lanciatori di Grande Lega, il livello si è alzato notevolmente, e questo è fuori discussione. Però adesso non c’è più l’entusiasmo di una volta, i giovani d’oggi forse sono più forti ma gli manca qualcosa nel cuore, che si è perso con gli anni. Lo spirito di sacrificio ce lo avevi dentro, era una cosa naturale, la vita di oggi, purtroppo, ti porta troppe distrazioni. Se dovessi scegliere, direi che era meglio il baseball di prima, che ti faceva sentire più importante, caricandoti con la spinta del pubblico e del senso di appartenenza, oggi i giocatori si muovono molto di più, cercando il successo in altre piazze, ma va bene anche così, purchè si giochi.”

Grande giocatore e grande tecnico, quali sono le differenze fondamentali tra i due ruoli?

“Giocare è più entusiasmante, ancora oggi, quando capita, mi diverto a tirare nelle partitelle d’allenamento, però anche allenare ti dà grandi stimoli, con tante sfide da affrontare, squadre da allestire, poi caratterialmente son portato a fare le cose sempre al massimo, non ho mezze misure. Comunque, raggiungere gli obiettivi è sempre gratificante, qualunque sia il tuo ruolo.”

Passi indifferentemente dalla IBL al baseball Youth, a qualsiasi livello. Dove trovi le motivazioni?

“Effettivamente mi piace cambiare, sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli e riesco ad appagare il mio entusiasmo verso qualsiasi obiettivo. Non ho problemi a lavorare con i giovani o con i campioni già affermati, credo di avere la capacità di rimettermi sempre in gioco in ogni contesto, piccolo o grande che sia, basta che sia baseball.”

Continua nella seconda parte…