15 Settembre 2024

Copertina della rivista Ambassador (ph. Lauro Bassani)

di Frankie Russo  – 

“Da BASEBALLONTHEROAD – Un articolo del 2013 di Don Oldenburg sul baseball italiano, tradotto da Frankie Russo.”

Copertina della rivista Ambassador (ph. Lauro Bassani)
Copertina della rivista Ambassador (ph. Lauro Bassani)

L’inizio della primavera è quando gli amanti del baseball si preparano per l’Opening Day; è quando si rinnova l’immagine dei verdi diamanti splendenti al sole, nella speranza e nell’ottimismo che le cose belle possono durare per sempre – al di là di qualsiasi cosa. Anno dopo anno, sempre uguale. Con la stessa certezza con la quale uno “slider” finisce fuori dalla zona dello strike sul conteggio di 0-2, così, come negli Stati Uniti, anche in Italia sta per avere inizio una nuova stagione di baseball.

Proprio così, pure nel Bel Paese che impazzisce per il calcio, nella nazione dei maniaci del ciclismo, dove si possono contemplare reperti archeologici e l’arte dal valore inestimabile, dove si possono ammirare spiagge sabbiose e montagne mozzafiato, nella terra della pasta al dente, della gustosissima pizza e del vino genuino… il baseball, in Italia, è vivo.

Gratta la rustica superficie del bel paese e vedremo gli italiani nel caldo estivo eseguire doppi giochi, battere fuoricampo e immancabilmente insultare l’arbitro. Immaginate l’UOMO VITRUVIANO di Leonardo Da Vinci giocare all’esterno centro! Il leggendario scrittore americano, H.L. Mencken non era lontano dalla verità quando sentenziò che: “Opera in inglese ha lo stesso valore del Baseball in italiano”. Ci sono città in Italia dove il Grande Passatempo Americano è una ragione di vita.

Distintamente italiano

Il baseball al dente è come un cugino rimosso dalla MLB. Socchiudete gli occhi e immaginate che il baseball italiano è molto simile. La differenza? In Italia il baseball è una competizione a suon di decibel tra le campane della vicina chiesa e l’allenatore che inveisce gridando contro l’arbitro. La rumorosità dei tifosi armati di trombe, tamburi, a volte anche di fuochi d’artificio, distraggono arbitri e squadra avversaria. È una caratteristica tutta italiana.

“Gli italiani fischiano molto quando contestano l’arbitro e dalle tribune intonano cantilene di ogni specie” scrive Joe Connor, noto giornalista dell’ESPN.com e NBS Sports.com. Connor ha assistito a molte partite a Parma, Grosseto, Modena, Bologna e Nettuno. “Impossibile cambiare il carattere degli italiani, specialmente quando il risultato è stretto o quando sono insoddisfatti dell’arbitraggio. L’arte di contestare, il modo in cui lo fanno, fa parte del loro tessuto culturale”.

E se pensi che il baseball italiano è bizzarro, è proprio così. Al settimo inning si alzano a cantare “Take Me Out to the Ball Game” in inglese (versione italiana di Rita Pavone “Il ragazzo del baseball”, ndr)! E che dire del cibo? Negli stadi italiani la pizza è una rarità, ma hamburgers, hot dogs, noccioline e popcorn non mancano. Gli italiani hanno il loro modo per imitare il baseball americano. Continua Connor: “Suonano la nostra stessa musica tra inning, “We Will Rock You” dei Queen’s, e quando un lanciatore viene sostituito cantano “Na Na Hey Hey Kiss Him Goodbye.”

I giocatori italiani si esaltano molto, e non solo emotivamente. Bevono caffè espresso prima e durante la gara, racconta Dave Bidini, nel suo libro “Baseballissimo: La mia estate nelle leghe minori italiane” aggiungendo che gli italiani sono anche troppo passionali pure senza l’uso della caffeina. “Amano il baseball. Le sconfitte sono esageratamente sofferte, mentre toccano il cielo con le mani dopo ogni vittoria. Una passione prettamente mediterranea”. Le regole sono uguali, ma non la terminologia: Homerun è fuoricampo, home plate è casa base, batter è battitore e spikes sono, beh, spikes”.

Il nome delle squadre sono americanizzate tipo Indians e Knights, ma viene anche indicato il nome dello sponsor come Caffè Danesi Nettuno e T&A San Marino. Gli Stadi? “Sono modesti rispetto a quelli standard della MLB, somigliano di più a quelli nostri delle leghe minori” afferma Connor che ha pubblicato una guida di tutti gli stadi nel mondo sul sito www.modernerabaseball-com. , e aggiunge: “Lo stadio più grande è lo Steno Borghese di Nettuno con i suoi 7.000 posti. Non bisogna preoccuparsi di acquistare  biglietti in anticipo o rivolgersi ai bagarini, né tantomeno esistono problemi di parcheggio. Arrivare alla partita cinque minuti prima è più che sufficiente.

La storia del baseball italiano

Il baseball ha provato a farsi strada in Italia sin dal 1884 quando due squadre di marinai giocarono a Livorno attraendo l’attenzione di molti curiosi. Due decadi più tardi Mario Ottino (alias Max Ott) tornò in Italia cercando di iniziare il baseball a Torino. Ma bisogna aspettare la II Guerra Mondiale per vedere  finalmente il baseball prendere piede. Nel gennaio 1944 migliaia di truppe americane sbarcarono sulle spiagge di Nettuno allo scopo di liberare Roma. La Battaglia di Anzio-Nettuno provocò 7.861 vittime tra gli alleati. Successivamente, sempre nei pressi di Nettuno, i soldati americani iniziarono la costruzione del cimitero di guerra per i loro caduti, aiutati anche dagli abitanti del luogo. Dopo giorni di duro lavoro a scavare tombe, i soldati cominciarono a giocare a baseball coinvolgendo anche gli italiani.

Il lt. Colonello Charles “Bud” Butte, responsabile della costruzione del cimitero, cominciò ad organizzare partite facendosi spedire dagli USA guantoni, mazze e palline. Il principe Steno Borghese autorizzò Butte a costruire un campo da baseball sulla sua proprietà. L’esercito di Roma mise a disposizione i bulldozers ed ogni mezzo necessario per la costruzione del primo campo regolamentare in Italia. Divenne il “Campo dei Sogni” per gli italiani. Loro l’avevano costruito, e giocatori italiani arrivarono (chiaro riferimento al film di K. Costner “L’uomo dei sogni, ndr).

Butte, deceduto nel 2010, ancora oggi è considerato “Il Padre del Baseball in Italia”. Il Sergente Horace McGarrity, succeduto a Butte nella costruzione del cimitero, è ricordato, invece, per aver insegnato le regole e le tecniche di gioco. Molto presto gli italiani addetti alla manutenzione del cimitero formarono la prima squadra di baseball a Nettuno e costituirono una lega amatoriale italiana. Dieci anni più tardi fu costruito il primo stadio di baseball in Italia. Nel 1991 fu rimodernato in quello che ancora oggi è lo stadio Steno Borghese.

I giocatori pionieri del baseball a Nettuno sono considerati dei veri e propri eroi nella città denominata “La Capitale del Baseball in Italia”. Ancora oggi i bambini crescono giocando a baseball. Quando i ragazzi prendono la 1^ Comunione ricevono in regalo guantoni e mazze benedette dal prete. All’ingresso della città le insegne riportano la scritta “Benvenuti a Nettuno – Città del Baseball”. Christopher Ralph, regista del documentario realizzato nel 2007 “Città del baseball” (www.cityofbaseballthemovie.com)  che tratta del baseball in Nettuno, racconta: “È arduo oggi immaginare cosa pensassero di noi gli italiani subito dopo la guerra. Difficilmente il baseball  avrebbe preso piede senza quegli eventi. È veramente una bella storia”.

Di Maggio in Italia

Nel 1946 nacque la prima squadra di baseball a Nettuno, ma fu solo 11 anni dopo che ebbe una svolta quando Joe Di Maggio, in occasione di un viaggio a Roma, volle visitare la patria del baseball italiano. “Ho avuto l’onore di incontrare il più grande giocatore di baseball di tutti i tempi” racconta nel documentario Rolando Belleudi,  leggenda del baseball nettunese. Belleudi ricorda ancora quando, tra un inning e l’altro, Di Maggio fece la sua apparizione sugli spalti in giacca e cravatta. Tutti volevano vedere Di Maggio nel box di battuta affrontare il loro idolo Carlo Tagliaboschi, il miglior lanciatore del Nettuno.

Joe accontentò il pubblico ed entrò nel box di battuta. Il primo lancio di Tagliaboschi fu uno strike. La folla era entusiasta! Di Maggio guardò il secondo lancio finire nel guanto del ricevitore per il secondo strike. La folla era in delirio. Poi Di Maggio uscì dal box, si tolse la giacca, arrotolò le maniche della camicia e invitò Tagliaboschi a lanciare. Di Maggio mandò la palla oltre la recinzione. Un altro lancio, un altro fuoricampo. Poi un altro, un altro e un altro ancora, tutti fuoricampo! Non si saprà mai la verità su quanti fuoricampo realizzò, dipende da chi ne fa il racconto. Prima di andarsene, la stella degli Yankees posò per le foto con la folla. Da quel momento il baseball in Italia ebbe una risonanza a livello nazionale.

Alla ricerca del baseball italiano

L’IBL è la lega professionistica del baseball in Italia. Per il 2013 il campionato inizia il 6 aprile con 10 squadre partecipanti: Nettuno, Bologna, Rimini, San Marino, Novara, Godo, Parma, Ronchi dei Legionari, Reggio Emilia e Grosseto. Una selezione dei migliori giocatori della IBL, con l’aggiunta di giocatori oriundi, hanno formato la Nazionale che ha partecipato al World Baseball Classic. A settembre le prime quattro squadre classificate si contendono il titolo nazionale e la vincente rappresenterà l’Italia nella Coppa dei Campioni.

Poi ci sono le leghe minori dove troviamo giocatori semi-professionisti, amatoriali e anche giovani promettenti. Proprio quest’ultimi sono stati oggetto del viaggio dello scrittore italo-canadese Dave Bidini nel 2002. Bidini s’inserì nell’organizzazione dei Nettuno Peones, squadra di lega minore e formata totalmente da giocatori italiani, qualcuno sulla via del tramonto, qualcuno reduce da infortuni ed altri non all’altezza di giocare in una lega superiore. In altre parole non lasciano il lavoro per il baseball. “Giocano per passione”, dice Bidini, che per sei mesi ha frequentato i Peones, si è allenato con loro e tirato il BP.

Tre anni dopo pubblicò il libro “Baseballissimo”. Bidini paragona la Serie B al Singolo-A o Rookie League americana, mentre la IBL può essere considerata una Doppio-A o forse un Triplo-A. Indipendentemente dal livello di gioco, tutti mostrano una gran voglia di godersi la vita, continua Bidini. “ Generalmente, quando si parla di sport, i discorsi sono quasi sempre gli stessi, ma questi ragazzi parlano in continuazione gesticolando animatamente le mani e alquanto divertiti”.

Giocatori americani in Italia

Sal Varriale è un personaggio ben noto nell’ambiente del baseball italiano. È un italo-americano di Brooklyn, è “il manager/giocatore più vincente” nella storia del baseball italiano. Nei suoi 41 anni di carriera, come giocatore e allenatore, ha partecipato a 4 Olimpiadi, ha vinto una medaglia d’argento e tre medaglie d’oro con squadre italiane Campioni d’Europa. “Sono stato fortunato”, dice l’esterno, prima base e poi allenatore del Cariparma Parma in IBL. Fortunato di giocare in Italia, naturalmente. L’odissea di Varriale ebbe inizio nel 1971. Aveva due lavori, teneva corsi notturni all’università e giocava in una lega amatoriale di Brooklyn e Long Island. Il nonno lesse un annuncio sul giornale italo-americano, Il Progresso, che in Italia cercavano giocatori di baseball, quindi, all’insaputa del nipote, compilò la domanda e la spedì.

Quell’anno la Nazionale italiana perse la finale Europea contro gli Olandesi che annoveravano in squadra giocatori delle Antille Olandesi.  Varriale ricorda che gli italiani affermarono: ”Se gli olandesi hanno gli antillani, noi avremo gli americani”. Così Varriale fu convocato a Roma. Nell’anno del suo debutto a Parma, in 15 partite, realizzò una media battuta di 476, 10 fuori campo e 37 punti battuti a casa. L’anno successivo gli Atlanta Braves lo convocarono per lo Spring Training, ma ormai Varriale era innamorato dell’Italia e del suo baseball e volle tornare a Parma.  Terminò la carriera con una media battuta di 321, 355 punti battuti a casa e 72 fuoricampo. Dopo il suo ritiro come giocatore nel 1984, allenò il Parma conquistando subito il titolo nazionale e, dal 1988 al 2008 vinse altri 9 titoli. Nel 2009 il numero di casacca è stato ritirato dalla società. Oggi è il Direttore Sportivo del Parma e talent scout per i Cincinnati Reds. Il figlio è anch’egli uno scout per l’Accademia Europea di Tirrenia.

John Paonessa, impiegato presso il Consolato Americano a Roma, definisce Varriale “la versione baseballiana del Playing for Pizza (Giocando per la Pizza, ndr), con chiaro riferimento al racconto di John Grisham che narra di un giocatore il quale, dopo aver fallito nella NFL, finì per giocare a football in Italia. “Tutti i giovani arrivano a un bivio” afferma Varriale riguardo la sua decisione di rimanere in Italia e dopo aver ottenuto tanto successo. “Mi sento un milionario, ma senza soldi!”

Le società dell’IBL sono sempre alla ricerca di giocatori stranieri per rafforzare la propria squadra. Alcuni sono ex giocatori della MLB cercando di prolungare la carriera, altri sono delle leghe minori in cerca di gloria all’estero. Alcuni addirittura considerano la loro carriera in Italia come una vacanza, e non tutti hanno successo. Qualche anno addietro il Danesi Nettuno dovette rilasciare l’ex lanciatore di MLB Dirk Hayhurst ancora prima dell’inizio di stagione e successivamente anche l’ex “slugger” dei Pittsburgh Pirates, Ray Sadler, lasciò inaspettatamente la squadra. Anche altre squadre dell’IBL, però, dovettero rinunciare all’apporto dei loro giocatori stranieri. “Il baseball italiano è quello che è, e bisogna accettarlo per quello che è” sostiene Tony Lonero, responsabile del reclutamento di giocatori stranieri per il Nettuno.

Nel 2013 le squadre dell’IBL hanno disputato solo due partite la settimana, quindi, uno stipendio mensile che varia dai 1.500 ai 4.000 € più le spese non è poi tanto male. Certamente è più di quanto guadagnasse Lonero come ricevitore quando firmò per Nettuno nel 1982 dopo aver studiato all’Università della Louisiana. Due anni dopo, grazie alla doppia cittadinanza, giocò per la Nazionale Italiana alle Olimpiadi del 1984. Ha giocato e allenato il Nettuno fino al suo ritiro avvenuto nella seconda metà degli anni 90, ed è sempre rimasto nell’organizzazione della società.

“I giocatori che non fanno bene qui è perché a loro non  piace l’Italia,” sostiene Lonero. “Non imparano la lingua, non gli piace la pasta e soprattutto non s’impegnano.”

Per Lonero la parola “pigro” non esiste. Diagnosticato con Sclerosi multipla nel 2001, cominciò ad andare in bicicletta per combattere la malattia e da allora ha anche partecipato a molte maratone ciclistiche. La sua determinazione è un esempio per tutti e la sua storia ha ispirato la regista italiana Lucia Marani per il documentario “Ride to Finish” (Viaggiare fino alla Fine, ndr) del 2012.

Nonostante la malattia, Lonero  continua ad amare l’Italia e il baseball.  “Questa non è l’America, quindi chi viene qui deve abbracciare tutto, nel bene e nel male”, continua Lonero che nell’aprile 2013 è stato introdotto nella Hall of Fame della Nazionale Italiana di Sport Americani in Pittsburgh. “Nettuno è sul mare, un’ora di treno dal Vaticano, il cibo è fantastico, il vino è il meglio che c’è, la gente è cordiale e qui a Nettuno il baseball fa da Re.”

Potrà sopravvivere il baseball in Italia?

Il baseball in Italia ha perso un po’ di lustro e gli spettatori sono in diminuzione. La decisione della Commissione Olimpica Internazionale di escludere il baseball dalle Olimpiadi ha ridotto la concessione di fondi per le squadre di baseball in Italia. Inoltre, resta difficile competere anche con la cultura del calcio. Quindi, viene naturale chiedersi se il baseball può sopravvivere in Italia. Christopher Ralph, pur ammettendo che i tempi migliori del baseball in Italia siano passati, sostiene che le speranze sono poste in giocatori come Alex Liddi, con l’augurio che essi possano raggiungere la MLB. “Questo farà in modo che i giovani italiani abbiano un loro idolo da emulare”.

Joe Connor invece sostiene che la crescita del baseball in Italia dipende da quanto vuole investire la MLB per sostenere l’accademia europea di Tirrenia. Oltre a ciò, Connor dice che il prossimo passo della MLB deve essere quello di disputare una serie di partite in Italia.

Anche Riccardo Fraccari, Presidente della Federazione Internazionale  Baseball, ammette che l’esclusione del baseball dai giochi Olimpici ha ridotto drasticamente l’elargizione di fondi per questo sport, ma “non fino al punto da impedire il prosieguo del nostro programma”. Continua Fraccari: “I successi della Nazionale Italiana nel Campionato Europeo del 2010 e 2012, oltre all’accademia della MLB a Tirrenia, fanno ritenere che il baseball in Italia può avere un brillante futuro.”

Dave Bidini invece ha un’altra teoria al riguardo. “Una delle più grandi tradizioni dell’America è il baseball. Esiste un profondo e sacro legame tra le due Nazioni grazie al baseball. Qualcosa di meraviglioso sbocciò dalla guerra, dal conflitto e dalla morte. Dovrebbe essere motivo di grande orgoglio per noi americani sapere che un fiore cresce nella città di Nettuno, che a solo pochi kilometri di distanza  dove morirono migliaia di persone… nonostante tutto, in quella città, sorge uno stadio di baseball”.

Il volto del baseball italiano in America

Per molti italo-americani, come per i molti tifosi del baseball in Italia, Alessandro “Alex” Liddi rappresenta la massima espressione del baseball italiano.  È il primo giocatore nato e cresciuto in Italia ad aver giocato nella Major League Baseball, avendo debuttato il 7 settembre 2011 come terza base per i Seattle Mariners. “Naturalmente è stato il mio sogno sin da bambino” racconta il 24enne nativo della pittoresca cittadina di San Remo, situata sulla costa nord ovest del Mar Mediterraneo in Italia, dove iniziò la sua carriera e dove, come succede su tutto il territorio, il calcio riesce ad avere la meglio su tutto. Liddi ha sempre sognato le World Series, non la World Cup. Non ha mai praticato il calcio se non con alcuni amici nel cortile.

La sua passione era il baseball. Analizzando il DNA di Liddi, oltre alla pasta, prosciutto e parmigiano, troveremo hot dogs, noccioline e pop corn. I nonni lasciarono l’Italia dopo la II Guerra Mondiale con destinazione la California, dove il figlio Agostino giocò a baseball a livelli di high school e divenendone un grande appassionato. A 18 anni Agostino fece il suo ritorno in Italia e sposò Flavia che ha giocato softball anche a livello agonistico. I loro due figli, Tommaso e Alessandro, hanno il baseball nel sangue. Si racconta anche, che Flavia ha giocato in prima base perfino quando in attesa di Alex!

Pochi erano i praticanti del baseball in San Remo tanto che Alex fu chiamato per far parte della squadra del fratello maggiore nelle giovanili, squadra che era allenata dal padre e dalla mamma. Campi da baseball non ce n‘erano e quindi si giocava sui campi da calcio. Anche le squadre erano poche, quindi, per giocare si facevano ore e ore di viaggio per affrontare altre squadre. A 12 anni Alex fece parte della selezione Italiana che partecipò alle Cal Ripken World Series negli Stati Uniti. Il passo successivo fu l’Accademia Europea della MLB situata a Tirrenia.

Nel 2005 i Mariners gli offrirono un contratto e giocò con la Nazionale Italiana nella World Cup a Tawian nel 2007. Dopo sei anni spesi nelle minors, finalmente nel 2011 arrivò il suo momento. Con 30 fuori campo, 104 punti battuti a casa e 121 punti segnati in Triplo A con i Tacoma Rainer, a settembre i Mariners lo convocarono per il suo debutto nella major league. Nel 2012 Liddi inizia la stagione con i Mariners. Durante il mese di aprile batte 289, 2 fuoricampo e 5 punti battuti a casa. Causa qualche strike out di troppo e qualche difficoltà a battere contro lanciatori mancini, i Mariners sono costretti a rispedire Alex nelle minori per poi richiamarlo nel mese di settembre. Liddi inizia lo Spring Training 2013 con i  Mariners. “Il mio sogno non è solo di ritornarci” dice Alex “ma farò tutto il possibile per restare nelle big leagues”.

Don Oldenburg